Parallelamente, sempre oggi l'Italia ratificherà definitivamente il Mes («meccanismo europeo di stabilità»), un fondo da 500 miliardi che a fine settembre (subito dopo il pronunciamento della corte costituzionale tedesca) o al più tardi il 1 gennaio prossimo sarà il veicolo per il bail out delle banche e, se necessario, degli stati europei. L'Italia si è impegnata a versare al Mes oltre 15 miliardi in 5 anni.
A differenza di Francia e Germania, Monti potrà dunque sedersi al tavolo dell'Eurogruppo con tutti gli impegni approvati e sottoscritti dalle camere, senza intralci di firma né dei capi di stato (come in 9 paesi europei) né di corti costituzionali. Non un fiato dal parlamento italiano contro gli accordi. Solo la Lega, dopo averli accettati e avviati quando era al governo, ora che è all'opposizione strepita, voterà contro e chiede un (illegittimo e impossibile per la Costituzione) referendum popolare.
Il «fiscal compact» è un macigno per la finanza pubblica italiana, reso ancora più pesante dai controlli e dalle sanzioni pretesi dalla Germania. Procedure che, di fatto, rappresentano una totale cessione di sovranità della politica economica e fiscale alla commissione europea prima e all'Eurogruppo poi.
Il patto prevede l'obbligo del pareggio di bilancio e soprattutto un rientro a tappe forzate del debito pubblico per un ventesimo della quota eccedente il 60% del Pil per 20 anni. In cifre: per l'Italia si tratterebbe di 45 miliardi all'anno. Questo ritmo di riduzione draconiano è appena mitigato da alcuni fattori, tra cui la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato.
Qualunque stato (cioè la Germnia) ritenga che il paese vicino non stia rispettando i patti può deferirlo alla Corte di Giustizia del Lussemburgo (una clausola fortemente voluta da Berlino, arbitro ultimo del rigore europeo anche a discapito dell'eurocommissione) che può sanzionare la capitale inadempiente con una multa fino allo 0,1% del Pil (cioè, per l'Italia, questa ipotetica multa arriverebbe a 1,6 miliardi di euro). Un paese non può rifiutarsi né di ridurre il debito né di obbedire alle correzioni richieste da Bruxelles. A meno che non ci sia una maggioranza ponderata dei paesi dell'eurozona che glielo consenta (per il loro peso, di fatto, Francia e Germania sono arbitri del destino dei paesi più piccoli).
Come si nota anche da questa descrizione sommaria: 1) né i parlamenti nazionali né l'europarlamento hanno alcuna voce in capitolo; 2) di fatto il «fiscal compact» indebolisce la commissione europea (il livello comunitario) e santifica invece la costruzione egoistica dell'Europa intergovernativa portata avanti dai governi di destra negli ultimi anni.
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